giovedì 24 maggio 2012
venerdì 4 maggio 2012
ANTISEMITISMO
Il caso Un saggio riapre la polemica sul filosofo tedesco filohitleriano, accusato di antisemitismo e «apologia dello sterminio»
Heidegger, genio razzista impenitente
Confessioni L' autore si sofferma sulle lettere rivelatrici indirizzate alla futura moglie Elfride
Torno Armando
Pagina 41
(3 maggio 2012) - Corriere della Sera
(3 maggio 2012) - Corriere della Sera
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giovedì 3 maggio 2012
uomini che uccidono le donne
Intervista allo psichiatra Massimo Fagioli: uomini che uccidono le donne (left n.28 2010)
di Ilaria Bonaccorsi Gardini
Nei
giorni della strage di donne (54 dall’inizio dell’anno) pubblichiamo
una intervista allo psichiatra Massimo Fagioli uscita su left del 16
luglio 2010. Anche allora era allarme per il “femminicidio” in Italia.
«Via
lei, via il dolore», «morta lei, starai bene», «ti ho picchiata,
lo meritavi». In questo mese non c’è giorno in cui i media non
raccontino di un “delitto passionale”, descrivendolo come una dose
eccessiva di insana passione, adoperando spesso il termine di raptus quando
l’omicidio appare totalmente illogico. “Un impulso irresistibile”.
Chiara, Cristina, Debora, Eleonora, Katerina, Maria, Michelina, Roberta,
Simona, Sonia… questi i nomi di donne uccise, in meno di un mese e
mezzo, da mariti, ex fidanzati o semplici corteggiatori rifiutati in
quest’inizio estate di follia. Il movente? La conclusione di relazioni
amorose, il rifiuto. I commenti? Sempre gli stessi, l’incredulità nella
gente anche, la normalità descritta agghiacciante, la cultura dominante
spaventosa. Quella che porta a parlare di eccesso di amore e a
distinguere per esempio l’emozione dalla passione sostenendo che
quest’ultima è «stato affettivo violento che predomina l’attività
psichica sì da comportare alterazioni della condotta che può diventare
del tutto irrazionale per difetto di controllo»(Ferracuti). Ma questa
è storia veramente vecchia. Pathos viene dal greco πάσχειν,
letteralmente “sofferenza” o “emozione” (ma anche affetto o esperienza) e
indicava una delle due forze che regolano l’animo umano secondo il
pensiero greco. Il pathos si oppone al logos, che è la
parte razionale, e corrisponde alla parte irrazionale dell’animo.
Dunque già per gli antichi greci questa “forza emotiva” indicava tutti
gli istinti irrazionali che legano l’uomo alla sua natura animale e gli
impediscono di innalzarsi al livello divino. Concezione che ha portato
all’assurdo culturale che in fondo non si tratterebbe di malattia
mentale ma semplicemente di una normale e accidentale emersione di
dimensioni assassine proprie di tutti noi, tenute a bada per una vita
grazie alla ragione. Pensate all’assurda storia del “delitto d’onore”
legittimato dal nostro Codice penale fino al 1981. Se un uomo uccideva
la propria moglie adultera al fine di salvaguardare l’onore veniva
sanzionato con pene attenuate rispetto all’analogo delitto di diverso
movente. L’onore era considerato un “buon” movente. Inevitabile allora,
volendo analizzare fino in fondo questo fenomeno che si presenta come un
aumento progressivo della violenza maschile nei confronti delle donne,
rivolgersi a esperti per chiarire da dove nasce tanta violenza omicida.
Professore,
14 donne uccise negli ultimi quattro mesi, 9 in meno di un mese. Siamo
in presenza del vecchio delitto passionale, quello “d’onore” del codice
Rocco, o c’è un equivoco di fondo e si tratta di altro?
A
mio parere, a monte c’è un’idea precisa e cioè che il delitto,
l’assassinio non è di per sé malattia mentale, anzi fa parte della
natura umana. C’è la vecchia idea non vecchia, ancora attuale, che
l’uomo è per natura violento, assassino e distruttore. Idea che nasce da
questa mostruosa fusione tra il dogma del peccato originale per cui
l’uomo nasce cattivo perché siamo tutti figli di Caino e l’idea greca
che sotto la ragione, cioè il pensiero della veglia e della coscienza,
c’è l’animale, la bestia. Bestia che durante l’Illuminismo è diventata
pazzia, mentre prima era solo animalità, mancata realizzazione umana.
Dietro
ognuno di questi delitti c’è più o meno la stessa scena: te ne vai? E
io ti ammazzo. Perché meglio morta che con un altro. L’assassino è quasi
sempre il marito, il fidanzato, il convivente, l’amante. Qual è la
natura della debolezza maschile?
Nella
quasi totalità sono uomini che uccidono le donne. Per prima cosa,
bisogna andare a fondo, non si tratta di amore passionale. È un rapporto
che sembra di amore ma in realtà è un’attrazione intrisa di odio e
confusione, specificatamente tra un uomo e una donna. Alcuni miei
colleghi dicono che non è malattia mentale. Io non sono d’accordo, è
malattia mentale. Si può dire che non è malattia mentale fino a quando
per malattia mentale si intende il disturbo della coscienza e del
linguaggio articolato. Sono cinquant’anni che lavoro per portare la
psichiatria a occuparsi di quello che non è coscienza e linguaggio
articolato, di tutto quel mondo detto inconscio di cui la psicoanalisi
ha tentato di occuparsi per non occuparsene, per dire che tutto è
inconoscibile. La cosa che abbiamo scoperto invece è che la visione
dell’essere umano diverso, in questo caso la donna, fa riecheggiare, fa
muovere dentro memorie confuse, indefinite riconducibili al primo anno
di vita, quando ognuno di noi era diverso da quello che è adesso. Non
parlava, non camminava, non aveva coscienza e linguaggio articolato… era
tutto un mondo e un pensiero di immagini in cui si svolge il primo
rapporto, assolutamente vitale, con una donna, in genere la madre. Poi
tutto questo si perde, si dimentica e così quando si fa questo
innamoramento per il diverso da sé e poi avviene quella realtà precisa,
possiamo dire triste ma anche molto realistica dal momento che la vita è
lunga, della separazione, del lutto nella persona “sana” questo
dovrebbe produrre al più tanta tristezza, magari la chiamata in soccorso
degli amici che ci consolano e poi l’elaborazione della separazione.
In questi casi non avviene, la separazione scatena una violenza omicida.
Questi
assassini, magari coscientemente uguali agli altri, e dunque per i
giudici capaci di intendere e di volere, sono gravemente ammalati
nell’inconscio e di fronte a questa separazione, alla perdita di questo
primo anno di vita, impazziscono perché quella donna, per esempio nel
caso di Eleonora Noventa, la ragazza di 16 anni, gli rappresenta il
bello del primo anno, dell’infanzia. La perde? Diventa totalmente pazzo
perché la sua realtà non ha fantasia, non ha immagini.
E la donna da uccidere a quel punto cosa diventa?
Diventa
la cattiva, la madre persecutrice. Quella che effettivamente può essere
stata quando era bambino, magari una madre anaffettiva. Mi piace sempre
ricordare Family life, quel film inglese del 1971 diretto da
Ken Loach nel quale si vede perfettamente come sia la madre che
determina la schizofrenia della figlia con il suo comportamento
dissociato, con quel dire e non dire insieme. E quindi uccide, perché la
causa della sua pazzia diventa questa donna, anche se in verità non
c’entra niente, perché in origine è stata la madre a farlo impazzire.
Quando invece una persona è sana, di fronte alla separazione rielabora e
si mette a fare una realizzazione narcisistica dell’io con intelligenza
e fantasia, come fece per esempio Henrik Ibsen con Emily.
Secondo lei, le donne possono cogliere dei segnali prima? È quindi possibile una qualche forma di prevenzione?
Sì,
certamente. Le donne devono ritrovare quella sensibilità che fa vedere
quello che c’è oltre un buon comportamento, come anche oltre a delle
parole d’amore. Bisogna andare oltre quel discorso falso e ipocrita che
per esempio ti fa dire “io amo tanto le donne” quando non è vero per
niente. Così in una dichiarazione d’amore e in un comportamento
apparentemente di corteggiamento a volte c’è la violenza. C’è anche una
legge, per l’appunto, quella sullo stalking. Sembra che un uomo corteggi
ma in realtà si prepara a uccidere la donna, e le donne
dovrebbero capirlo. C’è questo mondo nascosto a fronte di un
comportamento sociale magari ineccepibile che va compreso, non si può
pensare che siamo tutti buoni. Bisogna imparare che sotto c’è un
inconscio, una realtà opposta al comportamento.
Professore, il problema è anche culturale? La donna è sempre stata considerata un essere inferiore, difettivo.
Questa
è la grande tragedia storica, alle donne non è stato mai permesso di
essere, non è stato mai permesso di essere esseri umani, non è stato mai
permesso di realizzare l’intelligenza, salvo nell’ultimo mezzo secolo
nel quale si è comunque accettata al massimo un’intelligenza produttiva.
Ma la fantasia, indispensabile per orientarsi nei rapporti interumani,
non gli è stata mai permessa. La fantasia e l’arte non è stata mai della
donna. Questa famosa identità come ragione, questa storia del peccato
originale ha escluso la donna dalla categoria degli esseri umani; ha
conquistato dei diritti civili ma di fatto la donna non esiste.
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