venerdì 4 maggio 2012

film Quasi Amici


TI TIRANO LE PIETRE


ANTISEMITISMO

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Il caso Un saggio riapre la polemica sul filosofo tedesco filohitleriano, accusato di antisemitismo e «apologia dello sterminio»

Heidegger, genio razzista impenitente

Confessioni L' autore si sofferma sulle lettere rivelatrici indirizzate alla futura moglie Elfride


H eidegger è uno dei filosofi contemporanei di riferimento. Più di ogni altro suscita discussioni e continue prese di posizione. In Italia la traduzione degli scritti continua e un editore come Adelphi ha in catalogo una ventina dei suoi libri. Da poco sono usciti altri due titoli. Christian Marinotti ha pubblicato La storia dell' essere (pp. 206, 22), un volume che contiene pagine risalenti agli anni 1938-40; mentre Quodlibet ha appena edito la Fenomenologia dell' intuizione e dell' espressione (pp. 192, 24), vale a dire il corso del semestre estivo che il filosofo ha tenuto a Friburgo nel 1922. Ma c' è un terzo libro che riguarda Heidegger: è il volume che ha fatto discutere nel 2005 e che oggi esce tradotto anche in italiano. Si tratta del saggio di Emmanuel Faye, professore di filosofia moderna e contemporanea a Rouen, dal titolo Heidegger, l' introduzione del nazismo nella filosofia. Lo pubblica l' editrice «L' asino d' oro» di Roma ed è stato curato da Livia Profeti (pp. 544, 30). Della prefazione al testo italiano dello stesso Emmanuel Faye (da lui scritta lo scorso marzo), di una ventina di pagine, viene qui dato uno stralcio che ben illustra il contenuto del saggio. L' autore ribadisce tra l' altro, in questo suo contributo, il razzismo del celebre pensatore nei corsi dal 1927 al 1934; dedica un paragrafo all' «apologia dello sterminio nell' autunno del 1941», analizza le responsabilità dello stesso Heidegger per la diffusione del nazismo e si sofferma sulle lettere alla futura moglie Elfride. Sin dal 1916, sottolinea Faye, ci sono prove del suo antisemitismo. La curatrice, Livia Profeti, chiarisce nella sua nota le ragioni dell' edizione de «L' asino d' oro». Tra esse, ricorda, «si è voluto offrire ai lettori la possibilità di ritrovare facilmente quelle affermazioni razziste e pro-naziste anche nelle traduzioni italiane delle opere di Heidegger, dove spesso il loro reale significato è difficilmente riconoscibile». Nota, per esempio, che il termine Vernichtung è stato reso con annientamento; invece Zucht e Züchtung, già presenti in Nietzsche e da lui utilizzati in senso allegorico, sono stati intesi rispettivamente come ammaestramento e selezione, giacché in Heidegger «non c' è alcuna opposizione tra biologia ed educazione». Del saggio di Faye è stata tradotta la seconda edizione, uscita in Francia nel 2007. Le modifiche, per lo più riguardanti un aggiornamento inevitabile per le continue pubblicazioni di e su Heidegger, sono state concordate con l' autore, che a sua volta è intervenuto tra le edizioni del libro. Quella italiana, in particolare, ha tralasciato solo due paragrafi non riguardanti direttamente il filosofo tedesco. Non mancano comunque le pagine con osservazioni puntute su Carl Schmitt, Alfred Baeumler, Erik Wolff, Ernst Jünger. RIPRODUZIONE RISERVATA
Torno Armando
Pagina 41
(3 maggio 2012) - Corriere della Sera

ARCHIVIOcronologico

giovedì 3 maggio 2012

uomini che uccidono le donne

Nei giorni della strage di donne (54 dall’inizio dell’anno) pubblichiamo una intervista allo psichiatra Massimo Fagioli uscita su left del 16 luglio 2010. Anche allora era allarme per il “femminicidio” in Italia.
 «Via lei, via il dolore», «morta lei, starai bene», «ti ho picchiata, lo meritavi». In questo mese non c’è giorno in cui i media non raccontino di un “delitto passionale”, descrivendolo come una dose eccessiva di insana passione, adoperando spesso il termine di raptus quando l’omicidio appare totalmente illogico. “Un impulso irresistibile”. Chiara, Cristina, Debora, Eleonora, Katerina, Maria, Michelina, Roberta, Simona, Sonia… questi i nomi di donne uccise, in meno di un mese e mezzo, da mariti, ex fidanzati o semplici corteggiatori rifiutati in quest’inizio estate di follia. Il movente? La conclusione di relazioni amorose, il rifiuto. I commenti? Sempre gli stessi, l’incredulità nella gente anche, la normalità descritta agghiacciante, la cultura dominante spaventosa. Quella che porta a parlare di eccesso di amore e a distinguere per esempio l’emozione dalla passione sostenendo che quest’ultima è «stato affettivo violento che predomina l’attività psichica sì da comportare alterazioni della condotta che può diventare del tutto irrazionale per difetto di controllo»(Ferracuti). Ma questa è storia veramente vecchia. Pathos viene dal greco πάσχειν, letteralmente “sofferenza” o “emozione” (ma anche affetto o esperienza) e indicava una delle due forze che regolano l’animo umano secondo il pensiero greco. Il pathos si oppone al logos, che è la parte razionale, e corrisponde alla parte irrazionale dell’animo. Dunque già per gli antichi greci questa “forza emotiva” indicava tutti gli istinti irrazionali che legano l’uomo alla sua natura animale e gli impediscono di innalzarsi al livello divino. Concezione che ha portato all’assurdo culturale che in fondo non si tratterebbe di malattia mentale ma semplicemente di una normale e accidentale emersione di dimensioni assassine proprie di tutti noi, tenute a bada per una vita grazie alla ragione. Pensate all’assurda storia del “delitto d’onore” legittimato dal nostro Codice penale fino al 1981. Se un uomo uccideva la propria moglie adultera al fine di salvaguardare l’onore veniva sanzionato con pene attenuate rispetto all’analogo delitto di diverso movente. L’onore era considerato un “buon” movente. Inevitabile allora, volendo analizzare fino in fondo questo fenomeno che si presenta come un aumento progressivo della violenza maschile nei confronti delle donne, rivolgersi a esperti per chiarire da dove nasce tanta violenza omicida.
Professore, 14 donne uccise negli ultimi quattro mesi, 9 in meno di un mese. Siamo in presenza del vecchio delitto passionale, quello “d’onore” del codice Rocco, o c’è un equivoco di fondo e si tratta di altro?
A mio parere, a monte c’è un’idea precisa e cioè che il delitto, l’assassinio non è di per sé malattia mentale, anzi fa parte della natura umana. C’è la vecchia idea non vecchia, ancora attuale, che l’uomo è per natura violento, assassino e distruttore. Idea che nasce da questa mostruosa fusione tra il dogma del peccato originale per cui l’uomo nasce cattivo perché siamo tutti figli di Caino e l’idea greca che sotto la ragione, cioè il pensiero della veglia e della coscienza, c’è l’animale, la bestia. Bestia che durante l’Illuminismo è diventata pazzia, mentre prima era solo animalità, mancata realizzazione umana.
Dietro ognuno di questi delitti c’è più o meno la stessa scena: te ne vai? E io ti ammazzo. Perché meglio morta che con un altro. L’assassino è quasi sempre il marito, il fidanzato, il convivente, l’amante. Qual è la natura della debolezza maschile?
Nella quasi totalità sono uomini che uccidono le donne. Per prima cosa, bisogna andare a fondo, non si tratta di amore passionale. È un rapporto che sembra di amore ma in realtà è un’attrazione intrisa di odio e confusione, specificatamente tra un uomo e una donna. Alcuni miei colleghi dicono che non è malattia mentale. Io non sono d’accordo, è malattia mentale. Si può dire che non è malattia mentale fino a quando per malattia mentale si intende il disturbo della coscienza e del linguaggio articolato. Sono cinquant’anni che lavoro per portare la psichiatria a occuparsi di quello che non è coscienza e linguaggio articolato, di tutto quel mondo detto inconscio di cui la psicoanalisi ha tentato di occuparsi per non occuparsene, per dire che tutto è inconoscibile. La cosa che abbiamo scoperto invece è che la visione dell’essere umano diverso, in questo caso la donna, fa riecheggiare, fa muovere dentro memorie confuse, indefinite riconducibili al primo anno di vita, quando ognuno di noi era diverso da quello che è adesso. Non parlava, non camminava, non aveva coscienza e linguaggio articolato… era tutto un mondo e un pensiero di immagini in cui si svolge il primo rapporto, assolutamente vitale, con una donna, in genere la madre. Poi tutto questo si perde, si dimentica e così quando si fa questo innamoramento per il diverso da sé e poi avviene quella realtà precisa, possiamo dire triste ma anche molto realistica dal momento che la vita è lunga, della separazione, del lutto nella persona “sana” questo dovrebbe produrre al più tanta tristezza, magari la chiamata in soccorso degli amici che ci consolano e poi l’elaborazione della separazione.
In questi casi non avviene, la separazione scatena una violenza omicida.
Questi assassini, magari coscientemente uguali agli altri, e dunque per i giudici capaci di intendere e di volere, sono gravemente ammalati nell’inconscio e di fronte a questa separazione, alla perdita di questo primo anno di vita, impazziscono perché quella donna, per esempio nel caso di Eleonora Noventa, la ragazza di 16 anni, gli rappresenta il bello del primo anno, dell’infanzia. La perde? Diventa totalmente pazzo perché la sua realtà non ha fantasia, non ha immagini.
E la donna da uccidere a quel punto cosa diventa?
Diventa la cattiva, la madre persecutrice. Quella che effettivamente può essere stata quando era bambino, magari una madre anaffettiva. Mi piace sempre ricordare Family life, quel film inglese del 1971 diretto da Ken Loach nel quale si vede perfettamente come sia la madre che determina la schizofrenia della figlia con il suo comportamento dissociato, con quel dire e non dire insieme. E quindi uccide, perché la causa della sua pazzia diventa questa donna, anche se in verità non c’entra niente, perché in origine è stata la madre a farlo impazzire. Quando invece una persona è sana, di fronte alla separazione rielabora e si mette a fare una realizzazione narcisistica dell’io con intelligenza e fantasia, come fece per esempio Henrik Ibsen con Emily.
Secondo lei, le donne possono cogliere dei segnali prima? È quindi possibile una qualche forma di prevenzione?
Sì, certamente. Le donne devono ritrovare quella sensibilità che fa vedere quello che c’è oltre un buon comportamento, come anche oltre a delle parole d’amore. Bisogna andare oltre quel discorso falso e ipocrita che per esempio ti fa dire “io amo tanto le donne” quando non è vero per niente. Così in una dichiarazione d’amore e in un comportamento apparentemente di corteggiamento a volte c’è la violenza. C’è anche una legge, per l’appunto, quella sullo stalking. Sembra che un uomo corteggi ma in realtà si prepara a uccidere la donna, e le donne dovrebbero capirlo. C’è questo mondo nascosto a fronte di un comportamento sociale magari ineccepibile che va compreso, non si può pensare che siamo tutti buoni. Bisogna imparare che sotto c’è un inconscio, una realtà opposta al comportamento.
Professore, il problema è anche culturale? La donna è sempre stata considerata un essere inferiore, difettivo.
Questa è la grande tragedia storica, alle donne non è stato mai permesso di essere, non è stato mai permesso di essere esseri umani, non è stato mai permesso di realizzare l’intelligenza, salvo nell’ultimo mezzo secolo nel quale si è comunque accettata al massimo un’intelligenza produttiva. Ma la fantasia, indispensabile per orientarsi nei rapporti interumani, non gli è stata mai permessa. La fantasia e l’arte non è stata mai della donna. Questa famosa identità come ragione, questa storia del peccato originale ha escluso la donna dalla categoria degli esseri umani; ha conquistato dei diritti civili ma di fatto la donna non esiste.